La Blockchain non esiste

Si sente sempre più spesso parlare di blockchain: la blockchain per le votazioni, la blockchain per la filiera produttiva, i mille usi della blockchain.
Come se fosse un’entità a sé stante, come se fosse Internet o il Web.
Hanno iniziato a parlarne politici, opinionisti, presentatori tv, e hanno già iniziato a polarizzare l’attenzione del pubblico, come se si trattasse dell’ennesimo strumento politico al servizio di questa o quella campagna elettorale. C’è anche chi ha iniziato a scrivere “il blockchain”, spingendomi a insultare “i loro” madri, ogni volta che leggo certe oscenità.
Ecco che vi offro il vostro shock quotidiano: “la Blockchain” non esiste.
O meglio, non è ciò che pensate.

Una primissima definizione di blockchain potrebbe essere la seguente: un registro (o lista) distribuito e decentralizzato di dati digitali inseriti rispettando un ordine temporale.
Capirete bene che vi ho detto tutto e niente.
Quali dati? Registro distribuito tra chi? Quanto decentralizzato? Quale ordine temporale e stabilito da chi?
Insomma, una definizione del genere solleva più domande di quante risposte offra.
Fingiamo per un momento di non saperne nulla e di non aver mai sentito il ministro di turno definire la Blockchain come la panacea per tutti i mali della nostra società.

Un registro distribuito.

Il concetto di registro distribuito (in gergo DLT, Distributed Ledger Technology) è molto generico e si riferisce a una tecnologia che permette di immagazzinare dei dati in modo per l’appunto distribuito, evitando la centralizzazione su un unico grande server, che se attaccato potrebbe comportare la caduta dell’intero sistema e la conseguente perdita dei dati stessi.
La tecnologia Distributed Ledger è decentralizzata nella gestione dei dati ma non implica necessariamente la decentralizzazione dell’organizzazione che l’ha adottata o creata.

Un registro distribuito non è dunque per forza blockchain, ma blockchain è un registro distribuito.
Siete confusi? Lo so. Andiamo avanti.

Il concetto di “catena di blocchi” o chain of blocks (successivamente divenuta block chain e poi blockchain), viene introdotto da Satoshi Nakamoto nel 2008, nel suo documento “Bitcoin a peer-to-peer electronic cash system”: per far sì che potesse esistere un sistema monetario completamente digitale che non fosse attaccabile da terze parti, quali ad esempio hacker, governi e istituti privati, era necessario trovare un modo di decentralizzare la gestione della rete e l’emissione di unità monetarie. Era altresì necessario che il nuovo sistema non permettesse all’utente di spendere più volte lo stesso denaro, così come non è possibile per una stessa persona pagare due volte di seguito con la stessa banconota.
Ecco dunque l’idea di utilizzare un sistema di validazione delle transazioni a “blocchi”; ogni nuovo blocco contiene un certo numero di transazioni ed è legato al blocco precedente tramite una stringa di dati chiamata hash. Il blocco precedente contiene l’hash che lo collega a quello prima ancora e così via, in una lunga catena che porta direttamente al blocco iniziale, il Genesis Block, da cui è partito tutto.
L’emissione di unità monetarie viene svolta dal software distribuito tra tutti i partecipanti della rete, non da un’entità centrale, e questo “premia” con nuove unità il minatore che ha “chiuso” il nuovo blocco, che ha cioè scoperto la soluzione a un problema matematico di difficile risoluzione ma di facile verifica. Vi consiglio di leggere “Mastering Bitcoin” di Andreas M. Antonopoulos per una comprensione approfondita di questo processo chiamato mining e validazione dei blocchi.
Questo sistema toglie la gestione della rete e l’emissione di unità di moneta dalle mani dell’ente centrale e lo restituisce ai membri della rete stessa.
È stato concepito per questo e svolge bene il suo compito.
Essendo Bitcoin un sistema open source, è possibile utilizzare liberamente il codice non solo per verificarlo e correggerne eventuali bug, ma anche per replicarlo e utilizzarlo per i propri scopi.
Nascono così numerosi cloni e altri progetti alternativi a Bitcoin, che presentano caratteristiche differenti, alcune migliorie, a detta dei creatori, e numerosi compromessi o limiti aggiunti (trade-off): sono le altcoin, ognuna delle quali ha una sua blockchain che segue le regole stabilite dal suo creatore, siano esse simili o differenti a quelle di Bitcoin.

La Blockchain, le blockchain, una blockchain.

Siete ancora più confusi? Lo so. Andiamo avanti.

Abbiamo detto che esiste Bitcoin ed esistono le altcoin. Esiste dunque la blockchain di Bitcoin e le blockchain delle varie altcoin.
Ma se esistono così tante blockchain, si può dire a questo punto che “la Blockchain” non esista. Quanti Internet esistono? Quanti Web utilizziamo?
Se la Blockchain è uno strumento utile in qualche modo, allora deve avere una definizione univoca socialmente accettata.
Ora però sorge un problema: non si è ancora capito quale sia effettivamente l’utilità di questa fantomatica Blockchain con la b maiuscola. La Blockchain è, a questo punto dell’articolo, un’utility indefinita alla ricerca di un problema da risolvere.

Se la Blockchain è un registro distribuito con specifiche caratteristiche che la differenziano da un generico Distributed Ledger, allora dobbiamo comprendere quali siano effettivamente queste caratteristiche per poter dare una definizione che possa essere socialmente accettata; in modo che si possa dire:”La Blockchain è quella roba lì, altrimenti è una di tante blockchain, o è semplicemente un registro distribuito (DLT).”.

Partiamo dalla decentralizzazione.

La decentralizzazione nella conservazione e validazione dei dati inseriti su questo registro dovrebbe essere la più alta possibile.
In questo modo il sistema diminuisce le possibilità di un attacco ad esso e la conseguente perdita dei dati memorizzati su di esso.
Come si fa a rendere il più decentralizzato possibile uno strumento informatico?
Fondamentalmente deve essere utile a un numero elevato di persone, deve essere disponibile per il più alto numero di piattaforme e sistemi operativi, deve essere completamente open source, permissionless e guidato dal più ampio consenso, e deve essere il più leggero possibile.
Nel caso della Blockchain, è possibile definire tale un registro che funzioni effettivamente seguendo la logica dei blocchi ma che non sia ad esempio permissionless, ossia non controllata da un’entità centrale?

Stiamo cercando di dare una definizione de “la Blockchain” quindi riprendiamo la definizione generica di blockchain e aggiungiamo quanto chiarito qui sopra: un registro distribuito (con il più alto livello di decentralizzazione possibile) di dati digitali inseriti rispettando un ordine temporale.

Quali dati?

Chi utilizza il termine su cui stiamo ragionando lo fa tipicamente fuori contesto e dunque pensa che su una blockchain possano essere messi tutti i tipi di dati: dalle informazioni personali a quelle sui prodotti, dai risultati di un’elezione agli algoritmi che fanno funzionare un’AI o un’autovettura.
Fondamentalmente una blockchain viene utilizzata per trasportare dei dati riguardanti delle transazioni monetarie. È proprio l’incentivo monetario a far funzionare il sistema, e il più alto incentivo possibile è per l’appunto il bitcoin.
Qual è l’incentivo che vi farebbe installare sul vostro PC un programma utile a far funzionare una rete decentralizzata se non quello monetario? Sicuramente c’è chi sarebbe disposto a tenere in piedi una rete decentralizzata per interesse accademico o civile, nell’ipotesi che esistesse una rete decentralizzata per la ricerca scientifica o per il voto elettronico, ma il numero di partecipanti (anche detti “nodi”) sarebbe decisamente minore di quello che tiene in piedi Bitcoin.
Il fatto che i dati siano le informazioni sulle transazioni implica che non sia possibile utilizzare questo registro anche per altro?
Assolutamente no. Possiamo inserire delle informazioni (limitate) all’interno delle transazioni che effettuiamo ma non possiamo fare il contrario: non possiamo spostare altri dati e dunque informazioni su una blockchain senza effettuare transazioni monetarie. Se vogliamo farlo abbiamo altri strumenti informatici decisamente più efficienti e meno costosi o addirittura gratuiti.
Riprendiamo di nuovo la definizione generica di blockchain e aggiungiamo quanto chiarito qui sopra: un registro distribuito (con il più alto livello di decentralizzazione possibile) di dati digitali relativi a delle transazioni monetarie inseriti rispettando un ordine temporale.
Qualora un domani si scoprisse un incentivo diverso da quello monetario sarà possibile, anzi doveroso, rivedere questa definizione, ma fino ad allora teniamola per buona.

Perché abbiamo bisogno di inserire dei dati su un sistema decentralizzato?
In estrema sintesi, per sicurezza: sicurezza di conservazione, di non manomissione e di non censura.
Non per far raggiungere quel dato al suo destinatario nel più breve tempo possibile.
In secondo luogo per ridurre i costi: tenere in piedi dei server distribuiti per la memorizzazione ha dei costi più ampi dello sfruttare una rete decentralizzata già esistente e più sicura.
Se vi ricordate abbiamo detto che, per garantire il più alto livello di decentralizzazione, è necessario tra le altre cose che il registro sia il più leggero possibile: ne consegue che i dati che potremmo inserire su “la Blockchain” saranno relativamente pochi rispetto ad altri registri distribuiti ma non molto decentralizzati.
Quindi pochi dati, ma essenziali, ad un prezzo, ma minore di quello di una generica rete distribuita.

Ma che cosa dà sicurezza al sistema se non la potenza di calcolo impiegata dai minatori per ottenere una ricompensa (prova di lavoro, dall’inglese Proof of Work)?

Abbiamo già tutto, dobbiamo solo avere il coraggio di dirlo.

Riprendiamo un’ultima volta la definizione generica di blockchain finora data per capire, una volta per tutte, che cosa sia “la Blockchain”:
un registro distribuito e decentralizzato, con il più alto livello di decentralizzazione possibile, di transazioni bitcoin, inserite in blocchi rispettando un ordine temporale in cui l’ultimo blocco “chiuso” dal minatore “vincente” viene memorizzato dopo il blocco chiuso dal precedente minatore.

In poche parole la Blockchain è il registro dei blocchi validati del protocollo Bitcoin.
Senza Bitcoin, la Blockchain, intesa come definizione standard, non ha senso di esistere. Il perché è presto detto: non esiste attualmente un sistema che possa garantire la più ampia e tanto agognata decentralizzazione che non sia Bitcoin.
Bitcoin è il sistema monetario digitale più decentralizzato in assoluto, governato dal consenso (permissionless) e mantenuto in piedi dalla più alta prova di lavoro.

Quindi, la prossima volta che sentirete qualcuno, che sia il vostro panettiere o il vostro ministro del lavoro, parlare de “la Blockchain”, domandategli che cosa intenda esattamente, per capire se si tratta della stessa cosa che intendete voi. Dopotutto anche una definizione dovrebbe essere guidata dal consenso per essere socialmente accettata, giusto?



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